Si festeggia il 25 dicembre.
- Carteddate: dolce tipico di Natale, simboleggia il lenzuolo di Gesù Bambino. Nei paesi neogreci figura tra le non meno di 13 pietanze per il pranzo di Natale. Sull’etimologia i linguisti sono discordi: dal gr. talari, cestello; dal siciliano cartèdda, cesta; dal latino cartellus, canestro. Il termine lo si ritrova per la prima volta in un documento di Acquaviva delle Fonti del 1681 . È uno dei dolci tipici bitontini assieme ai calzengìiddə.
Ricetta: mettere 1 kg di farina sulla spianatoia e impastarla con 200 g di olio e 200 g di vino bianco. Bisognerà ottenere un pastone né duro né morbido. Formare poi delle pagnottine e stenderle col matterello. Tagliare pi, con la rotellina a smerle, delle tirelle larghe circa 4 cm. Ogni tirella va piegata in due ed unita con le dita a distanza di 3 cm, ottenendo delle conchette. Fare poi arrotolare su se stesse le strisce e unirle, così da ottenere delle tondine da 8 cm di diametro. Dopo averle messe ad asciugare, passare alla frittura in olio bollente e bagno nel mosto cotto o cotto di fichi (come si usa a Bitonto). Spolverizzare con cannella .
- Calzengìiddə: sono a forma di mezzaluna, ripieni di pappina di mandorle o marmellata. Vengono fritti poi ricoperti di zucchero. La derivazione etimologica è dai grossi calzoni, ripieni invece di verdure o carni. Detti anche “cuscinetti di Gesù Bambino”, la ricetta tradizionale si deve alle Vergini del Monastero di Bitonto, come d’altronde i bocconotti.
- Cotto di fichi e mosto cotto: in Puglia – soprattutto nel barese – questo dolcificante è utilizzato per la confezione di molti dolci, non solo natalizi, e per la cura di infezione alle vie respiratorie. Deriva dai fichi, un frutto assai diffuso da noi e anche a buon mercato. La procedura di realizzazione è alquanto delicata e lenta ma il risultato è a dir poco sorprendente.
La ricetta: si procede alla bollitura dei fichi in una pentola per diverse ore, fino a quando il contenuto non si dimezza. Poi si versa il contenuto in una federa di cuscino o in un sacco di canapa a maglie strette e lo si appende ad un chiodo lasciandolo per 24 ore e facendo filtrare il liquido in un capace recipiente. La premitura in passato era fatta stringendo il sacco tra due aste di legno o collocandolo sotto una pietra. Una volta raccolto il liquido, lo si fa cucinare nuovamente per altre 3-4 ore finché non diventa denso. Le bottiglie di vetro chiuse ermeticamente permettono di conservare il liquido a lungo senza che subisca alterazioni. Al momento dell’uso, il concentrato può anche essere diluito con acqua.
Non bisogna confondere il cotto di fichi con il mosto o vin cotto, che invece deriva dal mosto di uva.
La ricetta: si pestano in un setaccio a buchi grossi gli acini di uva bianca. Il mosto che si ricava si mette a cuocere a fuoco lento. Bisogna togliere la schiuma man mano che viene a galla. Quando il mosto si sarà ridotto, la cottura sarà stata raggiunta. Messo il vin cotto in un vaso di creta, lo si lascia riposare per 30 giorni prima di passarlo in bottiglie per l’uso.
- Scileppə: molto adoperato per ricoprire dolci, soprattutto taralli. La voce è antica, deriva dall’arabo giulab, acqua di rose, ma anche dal latino medievale gileppus. L’ingrediente principale è lo zucchero, che sostituisce il miele solo dopo il ’500. In realtà la canna da zucchero era nota a Cinesi, Indiani, Persiani e Arabi ma solo dopo il 1700, con l’estrazione dello zucchero dalla barbabietola, si ebbe una sua larga diffusione[1].
La ricetta: far liquefare 500 g di zucchero in una padella. Quando arriva a filo, aggiungere un bianco d’uovo montato, una goccia di limone e battere il tutto. Se diventa troppo duro, porre qualche cucchiaia di acqua bollente.
- Sasaniddə: l’odierno sosamello deriva dalle focacce confezionate con semi di sesamo e miele, nelle feste sacre a Demeter e Kore delle Thesmoforia siracusane. Per secoli è stato un dolce preparato dalle monache.
La ricetta: 1 kg di farina, 200 g di mandorle tostate, 100 g di zucchero, 1 buccia di limone o arancia grattugiata. L’impasto va realizzato col cotto di fichi. Una volta ottenuta la pastella, la si appiattiste e taglia a forma di rombi o cerchi e si inforna[1].
- Mastazzulə: nella fantasia popolare simboleggiano i dolci del Battesimo di Gesù e la ricetta nota nel barese è delle suore giuseppine di Bari.
La ricetta: 500 g di cotto di fichi, farina quanto basta, 100 g di mandorle tostate e tritate, 4 uova, molta cannella, 2 bucce di limone grattugiato, 200 g di zucchero. Amalgamare cotto di ficgi con la farina fino a farlo assorbire tutto, aggiungere tuorli d’uovo, mandorle, cannella, bucce di limone e zucchero. L’impasto deve essere morbido. Formare schiacciatine romboidali e infornare[1]