È la più complessa ed evoluta espressione del romanico pugliese.
Controverse sono le opinioni degli storici sulla data di fondazione della Cattedrale; forse la fine del secolo XI e l’inizio del secolo XII.
In questa costruzione troviamo unità di concezione, di criteri direttivi, di metodo costruttivo, di forme ornamentali; tutto ad arco tondo, unica qualità di pietra da taglio, grande regolarità nei paramenti esterni, tagli di conci perfetti per le volte e per la struttura degli archi.
Per quanto concerne la dedicazione, la più probabile è quella all’Assunta, ricorrente per la maggior parte delle cattedrali pugliesi. Il riferimento a S. Valentino, che spesso si riporta, può essere erroneo, anche se il Santo è venerato nella chiesa dove si conserva un braccio in un prezioso reliquiario.
Un primo impatto visivo mostra subito le affinità di questo edificio con la basilica di S. Nicola di Bari: la fiancata è pausata da una serie di sei arcate cieche con al di sopra una gareria di sei esafore; le absidi sono incluse in una superficie di pietra dominata al centro da un monumentale finestrone riccamente scolpito.
Come testimonianza protoromantica rimane un alzato murario che occupa l’intero spazio della chiesa attuale. I segni del periodo bizantino sono riscontrabili nelle grandi arcate quadrangolari precedute da una torre – porticato che conserva intatto un grande pavimento a mosaico raffigurante un Grifone, di chiara matrice orientale. Il Grifo, magnifico connubio tra aquila (cielo) e leone (terra), nella simbologia medievale sta a raffigurare il Cristo come creatore del mondo; le zampe foliate dell’animale ed il motivo di decorazione a tralci rappresentano una sorta di saldatura tra il mondo vegetale e quello animale.
Il rifacimento della struttura urbana ed il sopralzo della pavimentazione stradale a seguito della espansione della città verso Nord-Ovest, portò a costruire la nuova chiesa a tre metri al di sopra della precedente pavimentazione.
La facciata è finemente arricchita da tre portali, da due bifore gemelle e dal ricchissimo rosone che occupa la cuspide. È il più antico in Puglia ed è il primo con archivolto, dominato da una sfinge e sostenuto da due leoni poggianti su colonnine pensili.
Degno di attenzione è il portale centrale, uno dei rari portali pugliesi con architrave e lunetta figurata; due leoni sostengono altrettante colonne sormontate da capitelli lavorati sui quali sono appollaiati due grifi avvinghianti prede. Da questi si diparte il soprarco decorato con foglie di acanto, all’interno due archi con motivi floreali, animali esotici e corpi dalle linee non reali.
All’interno si nota, a differenza della basilica barese, la perfetta rispondenza tra le arcate, le colonne, le trifore e le monofore. La pianta è a croce latina con tre absidi semicircolari e tre navate divise da colonne alternate a pilastri e semicolonne addossate al muro perimetrale.
Colonne e capitelli non sono di marmo ma di pietra calcarea. I capitelli sono coperti da fitti intagli che ne alleggeriscono la mole.
Adiacente al presbiterio troviamo l’ambone. Grazie ad una iscrizione, che si trova sotto il pavimento del lettorino, conosciamo il nome dell’autore, il prete Nicola, e la data di esecuzione (1229). Come già nella basilica barese, ritorna la figura dell’aquila sorretta da un piccolo telamone.
L’ambone è noto soprattutto per la lastra scolpita a bassorilievo, impiegata come parapetto della scala che vanta una complessa figurazione: quattro personaggi di cui non si riesce a dare l’esatta identificazione. In diretto rapporto con l’ambone, il pulpito è realizzato in marmo con pezzi ricavati dalla demolizione dell’altare basilicale.
Attraverso due scale aperte nelle navate laterali si accede alla cripta. Anche qui è possibile notare l’influsso del modello nicolaiano. I capitelli seguono uno schema unitario e non sembra essere utilizzato nessun materiale di riporto.
Nel cortile dell’Episcopio è possibile visitare il Lapidario del museo diocesano.